L’abbraccio di gruppo al termine della maratona… ecco l’istante che mi ha tenuto sveglio per buona parte del viaggio di ritorno e che rappresenta il traguardo più importante dell’intera esperienza; in quei pochi attimi sono racchiusi i sacrifici di un anno, i sacrifici che i ragazzi hanno vissuto in prima persona e che hanno permesso loro di percorrere ogni singolo metro dei 42195 che separano il ponte di Verrazzano da Central Park.
In quell’istante c’è però molto di più del mero successo sportivo: c’è amicizia, c’è la compattezza e l’unione di un gruppo formato da uomini e donne che un anno fa nemmeno si conoscevano, ma che negli ultimi 12 mesi hanno vissuto, affrontato e condiviso insieme successi e difficoltà, risa e lacrime, sudore e fatica, discussioni e merende spensierate, ma con un costante supporto reciproco nel segno dell’obiettivo comune, come una famiglia.
Mi sento orgoglioso di far parte del gruppo, mi sento orgoglioso di aver fatto il possibile per aiutarli dal punto di vista atletico, ma soprattutto sono convinto di aver imparato più io da loro che non viceversa. Run to Feel Better è nato come progetto per accompagnare una persona sedentaria nei suoi primi passi verso uno stile di vita più attivo e salutare, anche attraverso lo stimolo di un obiettivo tanto ambizioso quanto emozionante, correre una delle maratone più belle del mondo. I 5 ragazzi e ragazze che hanno tagliato il traguardo il 4 novembre, insieme alle due ragazze che presto lo faranno a Firenze (e Vito che ci ha preceduti a Berlino), hanno dimostrato che la volontà e l’impegno permettono il raggiungimento di risultati straordinari,
hanno dato prova che gli esseri umani sono la propria mente, ancora prima del corpo, ed io ho avuto la fortuna e il privilegio di esserne testimone attimo dopo attimo correndo a fianco di Anthony, meravigliosa dimostrazione che i nostri “unici limiti sono quelli che ci creiamo nella mente o che ci lasciamo imporre dagli altri”.
Lo ammetto, ho vissuto con apprensione gli ultimi giorni che hanno preceduto la maratona: eravamo alla resa dei conti dopo un anno fantastico, ma ero e sono profondamente consapevole del fatto che in qualsiasi maratona è fisiologico un significativo numero di abbandoni, frutto non solo di allenamenti superficiali, ma anche di sfortuna. I MIEI ragazzi, i miei compagni di avventura sono arrivati fisicamente pronti all’appuntamento, ma temevo che un piccolo infortunio, un meteo avverso o un qualsiasi altro imprevisto potesse rovinare loro il sogno che avevano cullato per un anno. Così non è stato, ciascuno di loro si è reso protagonista di un meritato successo, costruito giorno dopo giorno come ogni grande impresa.
Per questo motivo l’abbraccio al termine della corsa è stato così importante, liberatorio per certi versi: finalmente potevo vedere negli occhi di ciascuno quella scintilla che brucia nell’anima dei runner, quella scintilla che una volta venuta a galla si riflette positivamente nel quotidiano sotto forma di una maggior fiducia in sé stessi, una più elevata consapevolezza dei propri mezzi.
Correre significa anche questo: diventare runner non è il raggiungimento di un obiettivo, ma un percorso di miglioramento di sé stessi che non ha mai fine.
Il successo è stato raggiunto anche grazie alle imprese biellesi che hanno creduto in noi, persone prima che imprese, che condividono i valori portanti del progetto, ma anche grazie ai professionisti che mi affiancano ogni giorno nel mio lavoro e che si sono prestati a seguire con attenzione, professionalità e, lasciatemelo dire, affetto, i nove partecipanti; ma soprattutto desidero ringraziare le famiglie dei ragazzi, senza il cui supporto non sarebbe stato possibile tagliare quel traguardo. Mariti e mogli che si sono adattati ai sacrifici che una vita da runner impone: modifiche agli approcci dietetici, uscite più o meno frequenti e più o meno lunghe, spesso ad orari improbabili, ma soprattutto mille e mille parole come risultato dell’entusiasmo contagioso della corsa. Contagioso, sì, contagioso è la parola giusta, perché molti di loro sono stati tirati dentro il gruppo condividendo il percorso verso uno stile di vita più sano.
La città di New York ha rappresentato la cornice ideale di tutto questo: il fervore e il caloroso trasporto di una città intera hanno reso l’impresa ancor più esaltante, fungendo da volano per tutte le emozioni e le sensazioni che hanno caratterizzato l’attesa, che ci hanno sospinti durante la corsa e che hanno reso ancora più dolce l’arrivo.
I tempi finali sono stati ottimi, i chili in eccesso persi durante i lunghi mesi di preparazione tanti, la speranza di offrire un’importante alternativa alla sedentarietà si è trasformata in certezza, ma soprattutto sono tornato a casa con la consapevolezza di essere stato testimone privilegiato di una grandissima avventura umana prima ancora che professionale.
Grazie ragazzi, grazie di cuore e buona corsa!
Michele
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